I viaggi di Arno Stern

Presentazione alla mostra fotografica

Il 21 dicembre 2017, l’associazione Il Segno Il Colore ha organizzato nei locali dell’Associazione M11 di Bergamo una mostra delle immagini dei viaggi compiuti da Arno Stern alla ricerca dell’universalità della Traccia, volti e gesti intensi che raccontano e confermano la straordinaria intuizione del padre dell’Ecologia dell’Infanzia.
Giacomino Giacomazzi, praticien de’ Il Segno Il Colore, ne aveva scritto la breve presentazione che proponiamo.
La mostra fotografica è disponibile a viaggiare ancora e portare il suo messaggio nella bottiglia…

Nel deserto in Mauritania, nella Foresta Vergine e sugli altopiani in Perù, in villaggi solitari del Niger e dell’Etiopia, in Afghanistan… gli ultimi recessi del pianeta non ancora raggiunti dalla scolarizzazione.

A partire dal 1966, per qualche anno, Arno Stern si metteva in viaggio, approfittando dei periodi in cui il suo Closlieu di Parigi era inattivo per le festività o per le vacanze, diretto verso quei luoghi remoti. Partiva solo, organizzandosi in proprio e senza appoggi istituzionali. E al ritorno lo attendeva, quasi senza pause, di nuovo il suo Closlieu.

Proprio dal suo Closlieu era emersa l’esigenza di quelle spedizioni; in quello spazio che, giorno dopo giorno, ad ondate, frotte di bambini venivano a riempire, lasciando ogni volta, andandosene, appesi alle pareti, i loro fogli luccicanti di colore. Ai suoi occhi attenti e privi di complicazioni, si era subito imposta  la sorprendente uniformità di temi, oggetti e forme presente in quei dipinti. Di foglio in foglio, di bambino in bambino, ritornavano, sempre e di nuovo, la Casa, il Personaggio, l’Albero, il Sole, lo stormo di Uccelli, la Strada, la Barca… sempre gli stessi Oggetti-Immagine nelle loro tipiche conformazioni. Avvinto dall’imponenza del fenomeno, dall’intensità e dall’entusiasmo con cui i bambini vi si abbandonavano, Arno Stern l’aveva studiato, catalogando e ordinando le sue componenti in una specifica “Grammatica” come prima nessun altro aveva fatto. Queste particolari uniformità facevano pensare a qualcosa di innato, di universale. Ma veniva anche da chiedersi: cosa avrebbero invece potuto dipingere, ad esempio, dei bambini nomadi nati e cresciuti in una tenda nel deserto, loro che non avevano mai conosciuto case o barche? Da ciò venne la spinta a queste “inchieste antropologiche” da svolgersi in ambienti culturali e naturali il più possibile diversi. Ma era necessario anche che quei bambini fossero immuni dall’inquinamento scolastico che, distruggendo fatalmente l’impostazione naturale della loro traccia, avrebbe reso completamente vana l’intera impresa.

Da questi viaggi Arno Stern riportò migliaia di fogli dipinti e disegnati e, inoltre, centinaia di fotografie che documentano l’atto e le circostanze, alcune delle quali vengono esposte in questa mostra. Si tratta documenti preziosi perché ormai irripetibili dato che oggi le condizioni che li hanno resi possibili, a cominciare dall’assenza di scolarizzazione, non esistono più in nessun luogo al mondo.

Da queste esperienze ai confini della civiltà, Stern trasse un nuovo impulso allo studio della traccia naturale, anche grazie alla spettacolare dimostrazione dell’indipendenza dei Tracciati sottostanti agli Oggetti-Immagine che da esse risultò. Non erano cioè gli Oggetti ad essere veramente universali e a costituire l’ossatura del flusso figurativo innato che Stern chiamò poi Formulazione, bensì proprio quei Tracciati. Stern li ritrovò, infatti, identici, nei bambini del Perù, del Niger, dell’Afghanistan… a strutturare Oggetti-Immagine a volte ben diversi da quelli dei bambini che frequentavano settimanalmente il suo Closlieu parigino. Esistono, per esempio, alcuni disegni di bambini nomadi afgani i quali non avendo Case da rappresentare, usavano lo stesso Tracciato (il Quadrato sormontato da un Triangolo) per raffigurare invece un cavaliere sulla sua cavalcatura. Così, queste esperienze lontane contribuirono a rafforzare la definizione della traccia naturale come di un linguaggio che “non formula fatti razionali influenzati dall’esperienza quotidiana”¹, ma segue una sua propria logica interna, innata e universale.
Ma come vediamo noi oggi queste immagini, questi bambini malvestiti, queste mani che tracciano? Con quali occhi, con quale atteggiamento? Forse con superiorità, noi molto più benestanti, più evoluti, più colti; o, invece, con un senso di rimpianto per qualcosa che non sappiamo più essere, una spontaneità, un’intensità, una perfezione perdute… oppure ancora, tutti noi, con un misto di entrambi quei sentimenti.

Tutti… tranne i “bambini del Closlieu”, quelli che vi hanno soggiornato a lungo e vi si sono amalgamati. Per loro questi altri bambini sono piuttosto dei “colleghi” ai quali guardano senza sorprendersi, senza soggezione “reverenziale” né superiorità, senza distanze… come a consanguinei nella linfa comune della Formulazione.